Beyond the limit of your eyes
La fotografia paesaggistica è forse quella, tra le arti visive, che più induce l’individuo a ricercare riferimenti spazio-temporali: una prossemica degli oggetti ed una scansione ciclica del tempo iscritte nell’armonia della natura. Sarebbe possibile rieducare l’occhio umano ad una percezione svincolata da una univoca prospettiva? Potrebbe l’uomo abituarsi a cogliere le sfumature caratterizzanti l’ambiente nella totale assenza di linee guida? Attraverso il colore della sabbia, la porosità della roccia, la sapidità dell’acqua, riuscirebbe egli ad indagare il paesaggio nella sua reale essenza?
E’ a partire da tali riflessioni che il colore assume una nuova emblematica importanza all’interno del mio progetto fotografico. Come dice J. Ghoete, <<i colori non sono cose della natura, ma della mente e per mezzo dei colori gli uomini non soltanto rendono percepibile il mondo, ma agiscono in esso allo scopo di rendere più armonico il rapporto con l’ambiente>>.
Se l’apparato ottico svolge un’attività molto complessa nel captare luci e policromie che determinano l’attribuzione di senso che l’uomo dà al mondo, plasmando il suo sentire, allora è in questa corrispondenza tra colore e sensorialità che si ridefinisce la nostra esperienza sensibile, ciò che rende un distaccato susseguirsi di immagini un intimo esercizio visivo.
La fotografia paesaggistica non è, dunque, mera rappresentazione estetica ma un personale percorso emozionale, un abbandonarsi alle molteplici sensazioni che quel luogo e quell’attimo riescono ad evocare. Un estendere lo sguardo che, nell’attualità, è sempre più modulato e affinato dalla tecnologia, in grado di modificare la relazione tra l’individuo e l’ambiente perché atta a creare un ponte tra ciò che è reale e ciò che è immaginato, e che invita a riflettere su quanto importate sia riconnettersi con la natura e con la parte più intima di noi stessi.